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Rifiuti radioattivi: nasce l’Osservatorio, in attesa del completo decommissioning

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Caorso, Latina, Garigliano, Bosco Marengo, Saluggia, Casaccia e Rotondella: sono queste le centrali nucleari, gli impianti di produzione del combustibile nucleare e gli impianti di ricerca del ciclo del combustibile nucleare che l’Italia deve smantellare e che generano circa 55.000 metri cubi di rifiuti radioattivi di cui circa 10.500 ad alta attività e altri 44.500 a media e bassa attività.

Nel nostro Paese, oltre agli impianti da smantellare si aggiungono i rifiuti radioattivi a bassa, media ed alta radioattività generati da attività diagnostiche e terapeutiche di medicina nucleare (provette, flaconi, siringa, guanti, indumenti contaminati, sorgenti per teleterapia), ma anche di macchinari contaminati e dispositivi utilizzati per la ricerca in campo medico e farmacologico, oltre che in specifici settori industriali. Questi in Italia oggi ammontano a circa 15.000 metri cubi, di cui più di 3.000 ad alta attività, a cui se ne aggiungeranno nei prossimi anni circa altri 20.500, di cui oltre 1.500 ad alta attività, con un trend di crescita di 500 metri cubi l’anno. Quindi, la quantità complessiva di rifiuti da smaltire è di oltre 90.000 metri cubi.

L’Italia, come tutti gli Stati membri dell’Unione europea, deve recepire la direttiva 2011/70 Euratom che ha imposto la realizzazione di un deposito che sia in grado di ospitare in sicurezza il combustibile nucleare esaurito e i rifiuti radioattivi anche derivanti dagli impieghi medicali, di ricerca e industriali. Attualmente i rifiuti radioattivi prodotti quotidianamente sono raccolti nei siti di produzione, mentre quelli derivanti dal settore sanitario, della ricerca e dall’industria sono detenuti in aree di stoccaggio provvisorio. Ma la situazione richiede un’altra soluzione, che sia sicura per il territorio e per la popolazione. Per questo, la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile in collaborazione con Sogin ha promosso l’Osservatorio per la Chiusura del Ciclo Nucleare, un organismo indipendente che si propone di contribuire a una corretta informazione e approfondire gli aspetti tecnici e tecnologici, nonché le implicazioni economiche, sociali e ambientali delle attività di bonifica dei siti nucleari e di gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi

“Trovare una soluzione ad una situazione precaria e insicura, come quella in cui si trova la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, è un atto dovuto –  spiega Stefano Leoni, presidente dell’Osservatorio -. È una responsabilità di tutti noi, anche di chi, come me, ha combattuto per la chiusura delle centrali nucleari. È questo lo spirito che guiderà l’attività dell’Osservatorio, non solo per garantire la sicurezza per i prossimi anni, ma anche per le generazioni future. Solo una scelta condivisa e responsabile potrà permettere al nostro Paese di chiudere il ciclo nucleare. Non bisogna inoltre dimenticare che secondo i criteri assunti dall’Onu il decommissioning del nucleare è considerato green economy e per il nostro paese significherebbe un investimento di circa 2,5 miliardi di euro”.

Il nostro Paese aveva previsto con decreto legislativo 31/2010 la realizzazione in un Deposito Nazionale destinato “all’immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato provenienti dalla pregressa gestione di impianti nucleari e allo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività, derivanti da attività industriali, di ricerca e medico-sanitarie e dalla pregressa gestione di impianti nucleari”. Il deposito nazionale dovrà essere collocato all’interno di un Parco Tecnologico finalizzato alla ricerca di soluzioni per la definitiva messa in sicurezza di questa tipologia di rifiuti. L’Osservatorio servirà anche per gestire le attività di decommissioning, di gestione dei rifiuti radioattivi e di realizzazione del Parco Tecnologico e del Deposito Nazionale sarà molto articolato e complesso e richiederà non solo momenti di confronto, di informazione e di formazione, ma anche di ascolto dei cittadini da parte delle istituzioni. La direttiva Euratom, infatti, pone un forte accento sulla trasparenza e impone, fra l’altro, che gli Stati membri assicurino che “la popolazione abbia le necessarie occasioni di effettiva partecipazione ai processi decisionali concernenti la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi conformemente alla legislazione nazionale e agli obblighi internazionali”. Il quadro di interventi è imponente, non solo perché restituirà definitivamente territorio libero da vincoli radiologici alla collettività e creerà condizioni di maggiore sicurezza rispetto all’attuale situazione, ma anche perché prevede investimenti stimati in circa 2,5 miliardi di euro  - come ha ricordato il presidente dell’Osservatorio, Leone – e tempi di realizzazione di perlomeno cinque anni.

Entro la metà del 2014, l’Osservatorio si pone come obiettivi  l’approfondimento  sui dati relativi alla produzione dei rifiuti radioattivi e alla loro catalogazione; benckmarking sui criteri di localizzazione utilizzati negli altri stati europei; un seminario sui criteri di localizzazione dell’Ispra e sul recepimento della direttiva europea 2011/70/Euratom, l’eleborazione di strumenti e modalità di coinvolgimento degli stakeholders individuati e la definizione del programma delle attività per la seconda metà del 2014. Per raggiungere questi obiettivi, l’Osservatorio raccoglierà, elaborarerà e contribuirà alla diffusione delle informazioni, garantendone l’accessibilità ai soggetti interessati, supporterà, monitorerà e garantirà un corretto sviluppo del processo di coinvolgimento degli stakeholder in materia di smantellamento dei siti nucleari, gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e localizzazione, progettazione e realizzazione del Parco tecnologico e del Deposito nazionale ed esprimerà, infine, osservazioni e redigerà relazioni informative sulle attività di decommissioning, di gestione dei rifiuti radioattivi, nonché sul recepimento delle direttive europee e sulle normative nazionali in materia.

Marta Rossi

fonte: greenews.info

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